sabato 13 febbraio 2016

Benvenuti nel blog!
l'intento di queste pagine è quello di recupeare e tramandare, per quanto possibile, la lingua tradizionale di Vico del Gargano ed, insieme ad essa, i suo usi, i costumi, i detti e le tradizioni delle quali è ancora possibile trovare testimonianze dirette ed indirette.
La speranza è che ci siano tanti contributi in sintonia con lo scopo del blog e che possano arricchire i contenuti dello stesso.
Il sogno è quello di creare una banca dati su tutto il meteriale reperibile che riguarda Vico del Gargano.


Considerato che siamo in fase di
"prove tecniche di trasmissione) 
vi ricordo che questa è una pagina di prova!

il testo seguente è del tutto provvisorio!

 

per qualunque contributo potete inviare una mail a

dizionariovicaiolo@gmail.com

 

 


Il Dizionario Vichese Italiano

Introduzione

L’idea di compilare un dizionario del dialetto di Vico (il vicajolo) è cosa vecchia. La certezza che, prima o poi, lo avrei fatto, mi era venuta diversi anni fa al liceo, nel 1980, dove il mio professore di greco – quel Nicola Giuliani – introduceva discorsi sulla glottologia, sulla fonologia e la fonetica.

Erano anni molto dinamici per Vico e tante erano le attività che potevano attrarre un giovane curioso ed intemperante come il sottoscritto; fatto sta che l’entusiasmo iniziale determinato dalla scoperta di una disciplina così affascinante andò man mano scemando e, a seguito di scelte di vita che hanno cambiato la mia esistenza (Università e decisione di non tornare al paese d’origine, per poter svolgere la professione per la quale avevo studiato – la Biomeccanica applicata agli Alberi – la cosa passò pian pianino tra quelle cose che “un giorno si faranno”. Va detto, però, che il legame con la mia lingua d’origine è sempre stato forte e – in diverse occasioni – ho avuto la fortuna di incontrare persone che hanno contribuito, negli anni, a farmi prendere atto che il dialetto è la nostra vera identità. Sicuramente chi mi “imprintato” è stato Francesco “don Cicchino” della Vella, (il mio Signor Maestro delle elementari), persona dotata di una curiosità incredibile e con una enorme capacità didattica, che in terza elementare ci diede il compito di raccogliere le “canzoni tradizionali” del Natale; altra persona che “a sua insaputa” ha contribuito a questo mio percorso è stato Gennaro Scaramuzzo (mio professore d’Italiano) che in prima liceo ci diede il compito di raccogliere canzone tradizionali vichesi e di trascriverle (ricordo i pomeriggi in giro per i quartieri Terra, Casale e Civita, armati di un “modernissimo” registratore portatile a cassette della Philips col quale registravamo le vecchine che si prestavano alla ricerca).

E poi il mio amico poeta Nicola Angelicchio (più che amico, il fratello grande che non ho mai avuto), che della vichesità ne ha fatto un vanto e che mi ha sempre stimolato/provocato ad approfondire aspetti della vichesità che stavano sfuggendo. Con Nicola, quasi per esercitarsi, e dietro una sorta di muto accordo, parlavamo il “vicajolo cafone”, a volte anche esagerando le cadenze, ma col chiaro intento di memorizzare e conservare quanti più fonemi possibili, soprattutto quelle parole legate ad una realtà spiccatamente agro silvo pastorale che già allora, cominciava il suo declino.

Ovviamente, di pari passo all’abbandono di termini dialettali in disuso, tanti nuovi termini andavano ad arricchire il dialetto: termini italiani legati alle “modernità” che – di fatto – hanno semplificato di molto la nostra lingua originaria e con essa, anche la manifestazione puntuale delle nostre emozioni.

Perché il dialetto è la nostra vera lingua madre, sono i primi suoni che percepiamo ed i primi che impariamo. Sono una sorta di bagaglio primigenio di conoscenza. E proprio perché il dialetto è una lingua trasmessa oralmente, basa la sua potenza sui suoni, sull’intonazione, sulla tonicità delle vocali e tutto ciò, seppur fondamentale nel distinguere i vari fonemi, diventa imprescindibile nel trasmettere la potenza dei sentimenti: per fare un piccolo esempio, forma dialettali moderne dello stesso significato, possono trasmettere il valore di quel sentimento, ma certamente non la sua potenza! Di fatto, per un vichese, nessun “te gheme” (ti amo) potrà mai trasmettere l’intensità di quel tradizionale e arcaico “te vogghje bbene”.


Il dialetto vichese


Riuscire a riunire tutti i termini propriamente vichesi è cosa impossibile, sia perché non vi sono lavori precedenti a cui rifarsi (tolta qualche raro esempio, come la pregevole raccolta di proverbi di N. Angelicchio), sia perché negli ultimi 30 anni il nostro dialetto ha perso molti dei sui termini più antichi a favore di una veloce italianizzazione ed inglesizzazione del linguaggio comune favorito soprattutto dalla scolarizzazione e dalla televisione.
Prima di iniziare a catalogare i termini dialettali propri vichesi, c’è però, la necessità di trovare alcune regole comuni per trascriverli in maniera tale che i suoni particolari delle parole siano percepite nel modo più chiaro possibile. Ovviamente, per fare ciò, si potrebbe utilizzare l’alfabeto fonetico internazionale (I.P.A.) che permette di trascrivere precisamente il modo di pronunciare di qualsiasi fonema di una qualsiasi lingua, ma si tratta di roba da specialisti.
Qui, considerando che io non sono altro che un dilettante in materia e pensando ad un dizionario dialettale come un mezzo per permettere di capire a coloro che quel dialetto non conoscono, il modo di scriverlo deve essere facile ed intuitivo, alla portata di tutti insomma (certo, con un piccolo impegno iniziale per applicare quelle regole minime proposte).
Ovviamente quanto qui scritto va considerato un piccolo timido primo passo a cercare di poter organizzare un lavoro che, detto francamente, sarebbe quasi impossibile affrontare da solo. Ovviamente ho una discreta raccolta di termini effettuata negli anni, ma la possibilità di sfruttare l’interazione di un gruppo di lavoro allargato come, potenzialmente, tutto il paese è qualcosa di incredibile. Ciò si è reso possibile quasi inconsapevolmente, con l’apertura di un gruppo di un social network, dove si è cominciato a “dialogare” strettamente in dialetto.
Questa enorme mole di “parole”, “detti”, “sfottò” rappresentano una vera miniera che meritano di essere raccolti ed ordinati.
Non essendo uno specialista, ma solo un semplice appassionato, prima di iniziare mi sono brevemente documentato. Ho fatto un po’ di ricerche in rete ed ho recuperato numerose informazioni utili come il “dizionario dialettale di Gallicchio” a cura di Maria Grazia Balzano, nonché ho rispolverato qualche vecchio libro come “il dizionario etimologico di voci proprie del dialetto viestano” a cura di Marco della Malva, Franco e Vincenzo Lopriore.
Mi sono maggiormente appoggiato su questi due testi perché più che sufficienti per ciò che serviva allo scopo.

Detto ciò, dobbiamo fare una serie di considerazioni preliminari sulla nostra lingua:
Intanto è evidente la tendenza fonetica del vichese verso le lingue illiriche (è evidente l'origine del dialetto da questa lingua indoeuropea parlata nella parte occidentale della Penisola balcanica fino ai primi secoli del I millennio d.C.);
Il patrimonio lessicale di base è impiantato sul latino con adattamento successivo alle principali lingue romanze (italiano, francese, spagnolo ecc.) anche se presenta alcune peculiarità rispetto agli altri dialetti garganici (soprattutto quelli dei paesi costieri);
Infine, la struttura sintattico-grammaticale è molto semplificata, tipico delle lingue parlate e non scritte.

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